Informazioni Utili

Quando si verifica un lutto in famiglia, occorre denunciare il decesso all’Ufficiale di Stato Civile del Comune in cui è avvenuto, eventualmente attraverso l’impresa funebre prescelta per l’esecuzione del servizio funebre. Se il decesso è avvenuto presso l’abitazione un familiare un delegato o un’altra persona a conoscenza del decesso dovrà recarsi all’Ufficio di Stato Civile, munito di documento di riconoscimento, e consegnare l’Avviso o dichiarazione di morte redatto dal Medico curante ed avallato dal Medico Necroscopo dell’A.S.L.

Prima di tutto contattare il medico curante che deve provvedere alla compilazione della scheda ISTAT indicante le cause del decesso; qualora il medico ne fosse sprovvisto, può essere fornito da l’azienda di onoranze funebri chiamata sul posto per svolgere il servizio di recupero salma.

Qualora si volesse trasferire la salma all’obitorio locale il medico dovrà compilare anche il modulo di trasporto salma prima dell’accertamento di morte. La denuncia di decesso deve avvenire entro 24 ore dall’evento; può essere comunicata da un congiunto, da persona convivente o dall’incaricato dell’impresa di onoranze e trasporto funebre.

La denuncia di decesso e la compilazione della scheda ISTAT vengono redatte dalla Direzione sanitaria della struttura in cui è avvenuto il decesso e trasmesse al Comune. In alcuni casi (quando il decesso avviene in una struttura non sanitaria) questa documentazione viene richiesta alla famiglia che può affidarsi all’impresa di onoranze funebri incaricata.

La denuncia di morte può essere fatta da parte dei perenti del defunto, ho dall’Impresa di pompe funebri che e stata incaricata dai famigliari per svolgere il servizio funebre. Successivamente viene rilasciata l’autorizzazione al seppellimento:

  • in caso di morte naturale, direttamente dal Comune;
  • in caso di morte accidentale o violenta, dal Comune previo nullaosta rilasciato dalla Procura competente nel territorio dove avvenuto il decesso
  • in caso di morte per malattia infettiva, dal Comune a cui compete informare l’Ufficio di Igiene dell’A.S.L.
  • con l’entrata in vigore della legge sulla privacy, sul permesso di seppellimento non viene indicata la causa di morte che viene comunicata solo alle autorità preposte al servizio.

Airsalm garantisce ai famigliari che si rivolgono a noi per il servizio di trasporto feretro all’estero delle tempistiche rapide e sicure per trasportare la salma a destinazione. Airsalm si impegna nell’assistenza completa a familiari, soprattutto per il disbrigo delle pratiche burocratiche in Italia, ma soprattutto all’estero per l’ottenimento del passaporto mortuario, quando il decesso e avvenuto all’estero e il defunto si deve rimpatriare in Italia.

La modulistica per l’ottenimento del passaporto mortuario differisce in base alla destinazione. Per le tumulazioni nei paesi della Convenzione di Berlino del 1937, vale a dire Svizzera, Austria, Belgio, Repubblica Ceca, Cile, Egitto, Francia, Germania, Portogallo, Romania, Russia, Congo. Per tutti gli altri paesi è necessario ottenere anche il nulla osta di ingresso della salma nel paese estero di destinazione. Questa procedura e  da richiedere tramite l‘ambasciata / consolato e relativa comunicazione del rilascio del passaporto al ufficio che deve essere idonea al cosiddetto “trasporto speciale”. Il costo dipende dalla tratta e dai mezzi utilizzati. Comunque, i prezzi della agenzia Airsalm sonno sempre quelli concordati prima con i famigliari.

Trasporto salma per uno degli Stati aderenti alla convenzione internazionale di Berlino Gli stati aderenti alla convenzione (10/02/1937) sono i seguenti: Italia , Germania, Belgio, Cile, Egitto, Portogallo, Francia, Svizzera, Cecoslovacchia (adesso Repubblica Ceca e Slovacchia), Turchia, Austria, Zaire (adesso Repubblica Democratica del Congo) Messico, Romania.

Quando si verifica un lutto in famiglia, occorre denunciare il decesso all’’Ufficiale di Stato Civile del Comune in cui è avvenuto il decesso, eventualmente attraverso l’impresa funebre prescelta per l’esecuzione del servizio funebre. Occorre anche verificare se il deceduto sia titolare della polizza di previdenza funeraria: in questo caso l’azienda di onoranze funebri. provvederà, senza alcun costo per i familiari, a fornire il servizio a suo tempo concordato

Decessi avvenuti in abitazione

Per prima cosa deve essere contattato il medico curante che deve provvedere alla compilazione della scheda ISTAT indicante le cause del decesso; qualora il medico ne fosse sprovvisto, si ricorda che la scheda è reperibile presso le farmacie. La denuncia di decesso deve avvenire entro 24 ore dall’evento; essa può essere comunicata da un congiunto, da persona convivente o dall’incaricato dell’impresa di onoranze funebri.

Decessi avvenuti in struttura sanitaria, istituto o casa di cura

La denuncia di decesso viene effettuata direttamente al Comune in cui è avvenuto il decesso dalla Direzione Sanitaria, che provvede anche alla compilazione della scheda ISTAT. Per gli istituti o case di cura, a volte, deve provvedere la famiglia, che può operare anche attraverso l’impresa funebre cui è stato affidato il funerale. Le imprese che gestiscono le “camere mortuarie”, di norma, devono fornire gratuitamente la vestizione del defunto.
Non sussiste, comunque alcuna “esclusiva” per la fornitura del servizio funebre: la scelta dell’impresa cui affidare l’esecuzione del funerale spetta esclusivamente ai familiari del defunto, a meno che lo stesso non vi abbia provveduto in vita attraverso la previdenza funeraria.

La previdenza funeraria è uno strumento che consente di organizzare, in maniera anticipata, l’aspetto finanziario del proprio funerale. Le cerimonie funebre, anche quelle più modeste, hanno infatti costi che non sono per tutti facili da sostenere. Questo vale soprattutto quando una famiglia si trova a far fronte da un giorno all’altro alla perdita di una persona cara. Per evitare di mettere i propri congiunti nella condizione di fare debiti per il pagamento del funerale, molte persone scelgono di sottoscrivere una polizza previdenziale funeraria. Per sottoscrivere una polizza funeraria e meglio chiedere delle informazioni nelle aziende di pompe funebre italiane.

Le spese funebri sono detraibili dalle imposte sui redditi dell’anno in cui sono state sostenute, per un importo massimo di euro 1.549,37 per ogni decesso di un familiare che sia compreso tra quelli elencati nell’art. 433 del C. C.

Qualora le spese funebri siano sostenute da più persone, l’importo di € 1.549,37 può essere ripartito tra coloro che ne hanno diritto (come sotto specificato), e quindi essere detratto, in proporzione, dalla dichiarazione dei redditi di ciascun avente diritto anche se la fattura è stata intestata ad una sola persona. In tal caso l’intestatario della fattura, sull’originale della stessa, dovrà annotare e sottoscrivere una dichiarazione di ripartizione della spesa, elencando i nomi ed i codici fiscali dei partecipanti ed i relativi importi pagati.
I singoli partecipanti alla spesa dovranno conservare una copia della fattura annotata (art. 3, comma 3, DPR 600/73).

  • Riflettete per tempo sul tipo di funerale che vorreste, raccogliete informazioni e parlate con i vostri parenti delle decisioni prese o mettetele per iscritto. Risparmierete dubbi, incertezze e spese a chi rimane.
  • Richiedete delle offerte scritte alle imprese di pompe funebri. I prezzi per gli stessi servizi possono variare anche del 100 %
  • Ufficialmente non esistono vincoli territoriali per gli operatori, sicché potete rivolgervi anche a un’impresa di fuori dalla vostra località, la quale tuttavia è tenuta a informarsi sugli usi funebri locali.
  • Per avviare le procedure del caso, l’impresa ha bisogno di un documento d’identità del defunto ed eventualmente di una sua foto per i necrologi e gli avvisi funebri, nonché di un documento della persona che contatta il servizio di pompe funebri.
  • Chi fa un viaggio all’estero dovrebbe stipulare un’assicurazione per il recupero della salma in caso di decesso.
  • Per la cremazione vengono accettate solo casse non trattate. Materiali non trattati andrebbero utilizzati per motivi ecologici anche in caso di sepoltura in terra, evitando in particolare i legni tropicali.
  • Se la cremazione è preceduta da un funerale tradizionale, si aggiungono naturalmente le spese per questa cerimonia (escluse le spese per l’apertura e chiusura della tomba).
  • Per erigere la lapide o la croce sulla tomba del congiunto avete tempo almeno un anno! Evitate pertanto di farvi indurre ad acquisti poco meditati nei giorni e nelle settimane immediatamente successive al funerale.
  • Le spese sostenute per le esequie di un congiunto possono essere dedotte dalla dichiarazione dei redditi per un importo pari a 1.500 euro.
  • Non affidarsi alla prima impresa funebre che Vi contatta dopo il decesso: l’utente ha il diritto di scegliere la propria impresa di fiducia.
  • Non seguire i consigli di coloro che Vi indicano una specifica impresa funebre sostenendo che è convenzionata; per legge non può essere stipulata alcuna convenzione del genere.
  • La normativa stabilisce che l’impresa funebre di Vostra fiducia che intendete incaricare, può recarsi in ogni luogo dove è avvenuto il decesso: abitazione, ospedale, istituto o fuori comune.
  • Non richiedere fin dall’’inizio il cofano più costoso, i fiori più belli, senza avere metri di paragone.
  • Non firmare documenti “in bianco” o senza valutare cosa vi sia scritto.
  • Non richiedere o sollecitare favori da parte di pubblici funzionari, con mance o altri sistemi.

A seguito della morte di una persona fisica è necessario regolare la titolarità dei rapporti patrimoniali già facenti capo alla stessa mediante l’apertura di una successione.Qualora un soggetto, per testamento o per legge, sia chiamato a succedere nella totalità delle situazioni di carattere patrimoniale di pertinenza del de cuius, si parla di successione mortis causa a titolo universale e colui che subentra nella titolarità di detti rapporti assume la qualità di erede.
Nel caso in cui, invece, il soggetto sostituisca il defunto esclusivamente con riferimento a situazioni specifiche e determinate, si apre la c. d. successione a causa di morte a titolo particolare ed il beneficiario del lascito prende il nome di legatario.
Peraltro, talvolta risulta difficile distinguere le due forme di successione suddette; nella prassi, infatti, spesso la linea di demarcazione tra istituzione di erede e legato appare assai sottile, soprattutto qualora si tenga conto del fatto che occorre attribuire significato ad un negozio giuridico, quale è il testamento, senza che l’autore di esso possa offrire alcun ausilio all’interprete.

L’art. 588 c. c., invero, prevede che si abba successione a titolo universale sia quando un soggetto subentra nell’universalità dei beni del de cuius, sia quando vengono attribuiti allo stesso singoli ed individuati beni, intesi, però, dal defunto come quota parte del suo patrimonio: in quest’ultimo caso, sussiste la c. d. institutio ex re certa. Ogniqualvolta, invece, il conferimento al successore di beni determinati non sia accompagnato dalla volontà del testatore di collocare tale soggetto nella medesima posizione di diritto propria del de cuius, seppure limitatamente ad una porzione dell’asse ereditario, si verificherà un’ipotesi di successione a titolo particolare. Tale distinzione è stata chiaramente definita anche dalla Corte di Cassazione, da ultimo, con la sentenza n. 3016 del 1°marzo 2002.
Peraltro l’assunzione della qualità di erede anziché di legatario determina la produzione di effetti ben diversi tra loro, come si avrà subito modo di chiarire.

Allorché un soggetto sia chiamato a succedere ad un altro a titolo universale, egli acquista il diritto di accettare l’eredità entro il termine ordinario di prescrizione di dieci anni dall’apertura della successione. Tuttavia, chiunque vi abbia interesse può esercitare un’actio interrogatoria, domandando all’autorità giudiziaria di fissare un termine più breve entro il quale i chiamati all’eredità dovranno dichiarare le proprie intenzioni; in difetto, essi decadranno dal diritto di accettare.
Nel momento in cui il soggetto chiamato manifesta la propria volontà di accettare o meno l’eredità, gli effetti di tale dichiarazione si fanno decorrere, attraverso una finzione giuridica, dal momento stesso della morte del de cuius, cosicché sia sempre possibile individuare il titolare delle situazioni patrimoniali già facenti capo al defunto. Il nostro codice civile, peraltro, prevede due diverse forme di accettazione dell’eredità, a cui sono ricollegabili effetti ben distinti: si tratta dell’accettazione pura e semplice (artt. 470 e segg. c. c.) e dell’accettazione con beneficio d’inventario (artt. 484 e segg. c. c.).

L’accettazione pura e semplice, che può essere tanto espressa quanto tacita, comporta la confusione del patrimonio del de cuius e di quello personale dell’erede.

Peraltro l’individuazione di una forma tacita di accettazione nel comportamento tenuto dal chiamato non può che essere rimessa ad un mero apprezzamento di fatto del giudice di merito: per esempio, la domanda di voltura catastale in capo al chiamato di beni immobili già di proprietà del defunto è stata intesa dalla Suprema Corte come chiara espressione della volontà del richiedente di succedere al de cuius (cfr. Cass. civ., sez. II, n. 5226 del 12 aprile 2002).

Ogniqualvolta l’erede intenda mantenere la massa ereditaria separata dai propri beni, dovrà accettare con beneficio d’inventario, manifestando tale volontà mediante dichiarazione resa dinanzi ad un notaio o al cancelliere del tribunale del luogo in cui è stata aperta la successione. Detta dichiarazione, inoltre, dovrà essere inserita nel registro delle successioni del medesimo tribunale; essa dovrà essere altresì preceduta o seguita dalla redazione di un inventario dei beni facenti parte del compendio ereditario.

Ai sensi degli artt. 471-473 c. c., peraltro, talune categorie di soggetti, e precisamente i minori, gli interdetti, gli emancipati, gli inabilitati e le persone giuridiche, non possono accettare che con beneficio d’inventario, in quanto l’ordinamento intende assicurare loro una più intensa tutela. In particolare, statuisce la Cassazione, il rappresentante legale del minore deve necessariamente accettare, previa autorizzazione del Giudice Tutelare, in forma beneficiata, dovendosi dichiarare nulla qualsiasi accettazione avente forma diversa. Il minore, inoltre, è comunque legittimato a rinunciare all’eredità entro un anno dal compimento della maggiore età, non potendo essere addossate a suo carico le spese relative alla predisposizione dell’inventario (si veda, tra le altre, Cass. civ., sez. II, n. 9648 del 24 luglio 2000).

Tuttavia, nonostante l’accettazione venga effettuata nel rispetto delle formalità stabilite dalla legge, l’erede può decadere dal beneficio d’inventario qualora si renda responsabile di talune omissioni e infedeltà, per esempio alienando alcuni beni ereditari senza previamente ottenere le prescritte autorizzazioni giudiziarie: in tal caso egli tornerà ad essere un erede puro e semplice.

Analizziamo ora più precisamente gli effetti del beneficio d’inventario, così come indicati dall’art. 490 c. c.: tenuto conto della separazione esistente tra il patrimonio del de cuius e quello personale dell’erede, quest’ultimo conserverà verso l’eredità tutti i diritti e gli obblighi che aveva in vita verso il defunto e sarà tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati non oltre il valore dei beni pervenutigli. I creditori dell’eredità ed i legatari, inoltre, avranno la preferenza rispetto ai creditori dell’erede per soddisfare le loro ragioni sulla massa ereditaria.

Quando i chiamati all’eredità non sono in possesso dei beni ereditari e non hanno ancora esercitato il diritto di accettare, occorre individuare un soggetto in grado di amministrare adeguatamente le sostanze del de cuius, provvedendo anche a pagare i debiti ereditari. In tal caso si è dinanzi ad un’ipotesi di eredità giacente, in attesa, cioè, di essere acquistata dai successori del defunto.
Il legislatore, dunque, all’art. 528 c. c., prevede che chiunque vi abbia interesse (chiamato successivo, legatario, creditore della massa, ecc.) possa proporre istanza al tribunale del circondario ove si è aperta la successione del de cuius perché venga nominato un curatore dell’eredità giacente, titolare di ampi poteri volti alla gestione e alla valorizzazione dei beni ereditari, nonché legittimato a rappresentare in giudizio l’eredità stessa. Peraltro, fin dal 1987, la Corte di Cassazione ha precisato che è possibile richiedere la nomina del curatore dell’eredità giacente anche qualora semplicemente non si sia a conoscenza dell’esistenza in vita di chiamati alla successione che siano in possesso di beni ereditari (cfr. Cass., sent. 31 marzo 1987, n. 3087).

La curatela viene a cessare in coincidenza con l’accettazione dell’eredità da parte di almeno uno dei chiamati; portato a termine l’incarico, il curatore è tenuto a presentare il rendiconto del proprio operato.

Colui che per testamento o per legge viene chiamato all’eredità può disporre del proprio diritto di accettare l’eredità stessa dichiarando di rinunciarvi con effetti retroattivi al momento dell’apertura della successioneL’atto di rinuncia, peraltro, a differenza dell’accettazione, può anche essere oggetto di revoca. La revoca, comunque, avrà effetto soltanto qualora il soggetto chiamato a sostituire il rinunciante non abbia nel frattempo accettato l’eredità in luogo di questi.
La rinuncia, infatti, escludendo l’autore di essa dal novero degli eredi del de cuius, consente ad uno o più soggetti di subentrare nella successione.

Innanzitutto, dunque, succederanno, in virtù del meccanismo di rappresentazione previsto dall’art. 467 c. c., i discendenti del rinunciante, a meno che il testatore non abbia espressamente designato nel proprio atto di ultima volontà il sostituto.

Qualora, peraltro, l’istituto della rappresentazione non possa operare e manchi un’espressa indicazione del de cuius in tal senso, troverà applicazione, nel caso in cui più chiamati concorrano all’eredità, il meccanismo dell’accrescimento della quota in favore degli altri chiamati.Se, infine, nessuno di tali correttivi potrà trovare attuazione, si ricorrerà alla successiva chiamata ex lege.

L’ordinamento giuridico italiano tutela l’erede la cui qualità venga contestata da un altro individuo in possesso dei beni ereditari mediante l’azione giudiziaria della petizione di eredità, disciplinata dagli artt. 533-535 c. c.  La finalità della petitio hereditatis, come la Corte di Cassazione ha chiarito fin dalla sentenza n. 5304 del 1984, è prevalentemente recuperatoria: tale strumento processuale è infatti diretto, previo accertamento della vocazione ereditaria dell’attore, a recuperare i beni già appartenenti al de cuius e posseduti da terzi estranei. Sotto il profilo dello scopo perseguito, dunque, l’azione in commento è stata qualificata dalla giurisprudenza di legittimità come azione di natura reale, volta a garantire, in caso di accoglimento della domanda attorea, l’acquisto della disponibilità dei beni ereditari posseduti da terzi: in tal senso, recentemente, si è espressa la Suprema Corte con sentenza n. 10557 del 2 agosto 2001.

Qualora, poi, il giudice decida la petitio hereditatis riconoscendo la qualità di successore universale in capo all’attore, tale riconoscimento non può più essere oggetto di contestazione se non nei limiti della revocazione della sentenza, stabiliti dagli artt. 395 e segg. c. p. c. (Cass. civ., sez. II, n. 5920 del 15 giugno 1999). Ciò detto, a tal punto è opportuno chiarire che il rimedio della petizione di eredità può presentare alcune affinità con l’azione di rivendica, posta dal nostro legislatore a tutela delle ragioni del proprietario i cui beni siano stati sottratti da terzi.

Tuttavia, una differenza fondamentale dev’essere ricordata: laddove la petitio hereditatis ha ad oggetto l’accertamento della qualità di erede di un soggetto e l’appartenenza di uno o più beni all’asse ereditario, nella rei vindicatio viene dedotto in giudizio il diritto di proprietà su una cosa vantato da una parte nei confronti dell’altra. Tale distinzione, già affermata in giurisprudenza, ha trovato una definitiva consacrazione nella sentenza della Cassazione civile, sezione II, del 26 maggio 1998, n. 5225.

La successione testamentaria è nettamente preferita dal nostro legislatore rispetto alla successione legittima; quest’ultima, infatti, trova applicazione soltanto nel caso in cui manchi, in tutto o in parte, un testamento (art. 457, comma 2, c. c.).Nessuna norma, peraltro, vieta che un soggetto chiamato all’eredità per testamento rinunci all’eredità stessa e tuttavia partecipi alla successione legittima, come la stessa Corte di Cassazione ha avuto modo di precisare (Cass., 1 luglio 2002, n. 9513).

Il testamento è definito dall’art. 587 c. c. come l’atto di ultima volontà con cui un soggetto dispone dei propri beni per il tempo in cui avrà cessato di vivere.
E’ dunque evidente che, pur perfezionandosi in un momento anteriore, il testamento inizia a produrre i propri effetti verso i terzi soltanto a far data dalla morte del suo autore. Per sua natura, inoltre, il testamento è un atto sempre revocabile dal de cuius fino all’ultimo attimo di vita, affinché esso rispecchi il più possibile la volontà del testatore.

Non stupisce, pertanto, che il nostro ordinamento vieti la stipula di qualsiasi patto tra vivi volto a regolare la successione mortis causa di un individuo (art. 458 c. c.) e non ammetta alcuna forma di rappresentanza per la redazione del testamento. Il tema del divieto dei patti successori, invero, è sempre stato al centro di accesi dibattiti in dottrina ed in giurisprudenza.

Innanzitutto, è opportuno distinguere i patti c. d. istitutivi, cioè gli accordi intercorsi tra il de cuius ed il beneficiario dell’attribuzione, con cui il primo dispone delle proprie sostanze; i patti c. d. dispositivi, mediante i quali un soggetto dispone dei beni che in futuro dovrebbe conseguire in forza dell’apertura di una successione, e i c. d. patti rinunciativi, con cui taluno rinuncia ai diritti che potrebbe acquistare da una futura successione. Ciò detto, la declaratoria di nullità di detti contratti spesso interviene in un momento in cui gli accordi stessi hanno già avuto esecuzione; i rapporti pendenti, in tal caso, vengono regolati ricorrendo all’istituto dell’indebito oggettivo (art. 2033 c. c.), per cui le somme nel frattempo versate dovranno essere restituite al de cuius o ai suoi eredi, andando a costituire parte integrante dell’asse ereditario (in tal senso, la sentenza più recente è Cass. civ., sez. II, 12 agosto 2002, n. 12474).  Il contenuto tipico dell’atto testamentario è di natura strettamente patrimoniale, consistendo nell’istituzione di erede e/o nel legato; tuttavia il testamento può presentare anche un contenuto di carattere eventuale, quale il riconoscimento di un figlio naturale.
La validità del testamento è infine subordinata al rispetto di rigorosi requisiti formali.

Il codice civile, in particolare, prevede il testamento olografo ed il testamento per atto di notaio, distinguibile a propria volta in testamento pubblico e segreto (c. d. testamenti ordinari).

Il testamento olografo si caratterizza per essere interamente redatto, datato e sottoscritto di pugno dal testatore.

Il testamento pubblico, invece, consiste in una dichiarazione di ultima volontà del de cuius raccolta dal notaio alla presenza di due testimoni e dallo stesso custodita.
Il testamento segreto, infine, si differenzia da ambedue le tipologie già descritte per essere predisposto dal de cuius in assenza del notaio e da questi semplicemente ricevuto mediante la stesura di un verbale di consegna.

Altri tipi di testamento, denominati speciali, sono redatti da un pubblico ufficiale (es. comandante di una nave), ma, in quanto redatti in situazioni di pericolo, hanno un’efficacia limitata nel tempo, di soli tre mesi.

La capacità di disporre per testamento si compone, in verità, di due diversi elementi: la capacità di testare e la legittimazione a disporre per testamento.
E’ pacificamente capace di testare chiunque abbia compiuto la maggiore età, purché non sia stato interdetto per infermità di mente e non si trovi, anche in via transitoria, in stato d’incapacità d’intendere e volere, al momento della redazione del testamento.

La legittimazione a disporre per testamento di determinati beni, invece, deve sussistere al tempo dell’apertura della successione, non rilevando se essa risultasse al momento della predisposizione della scheda testamentaria: taluni parlano a questo riguardo di legittimazione sopravvenuta o di validità sospesa del negozio.

L’esigenza fondamentale che si pone all’interprete dinanzi ad un testamento è quella di tradurre la reale volontà del de cuius, attribuendo alle parole ed espressioni spesso ambigue da lui utilizzate il significato maggiormente conforme alla mens testantis; a tal fine si dovrà tenere opportunamente conto anche di elementi estranei alla scheda testamentaria, quali la mentalità, la cultura e l’ambiente di vita del de cuius. Su tale posizione si è allineata la giurisprudenza costante (si veda Cass., 17 luglio 1979, n. 4181, e Cass., 15 marzo 1990, n. 2107).

Una questione aspramente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza concerne, poi, l’applicabilità al testamento delle regole interpretative dettate dal codice civile in materia di contratto agli artt. 1362 e segg. c. c.

Mentre sulla compatibilità o meno di talune disposizioni non sorgono contestazioni di sorta (per esempio, nessuno dubita dell’inapplicabilità dell’art. 1368, secondo comma, dell’art. 1370 e dell’art. 1371, seconda parte, cod. civ., al negozio testamentario, dal momento che dette norme si fondano sulla reciprocità delle prestazioni propria di un contratto), altre norme sollevano al riguardo problematiche di rilievo.

Per quanto attiene ai criteri ermeneutici ispirati ad un principio di conservazione degli effetti dell’atto, appare nettamente preferibile la tesi che ne sostiene l’applicabilità anche al testamento: qualora tali norme non trovassero attuazione, il testamento del de cuius rimarrebbe del tutto privo di significato e, dunque, di esecuzione, senza più possibilità di dare regolamentazione alla successione del defunto se non mediante l’apertura di una successione legittima.

Al pari degli altri negozi giuridici, anche il testamento può essere oggetto di un’azione di nullità o di annullabilità. Tali rimedi processuali sono regolati sia dalla disciplina generale dettata in materia di contratti, nei limiti della compatibilità, sia dalle norme speciali contenute nel Libro II del codice civile dedicato alle successioni.

La nullità dell’intero testamento o di singole disposizioni di esso può essere accertata sia in presenza delle violazioni formali espressamente stabilite dalla legge, sia allorché manchi uno degli elementi sostanziali del negozio testamentario (ad esempio, qualora non risulti in alcun modo determinabile il beneficiario del lascito).

La sanzione dell’annullabilità, invece, colpisce il testamento o singole clausole di esso ogniqualvolta il de cuius risulti incapace di testare, nonché quando venga accertato che la disposizione è stata determinata da un errore del testatore, da una violenza cui lo stesso sia stato sottoposto ovvero da un inganno perpetrato ai suoi danni.

In particolare, la costante giurisprudenza di legittimità ritiene necessaria, ai fini della configurazione del dolo, non la mera influenza psicologica esercitata sul testatore, bensì l’utilizzo di veri e propri mezzi fraudolenti che, tenuto conto dell’età e dello stato di salute del de cuius, risultino idonei a trarlo in inganno, indirizzando la sua volontà in una direzione diversa rispetto a quella che egli avrebbe spontaneamente seguito (tra le altre, Cass. civ. 19 luglio 1999, n. 7689).

Così come può avvenire per ogni altro documento sottoscritto dal suo autore, inoltre, l’autenticità del testamento può essere contestata mediante l’instaurazione di un giudizio di disconoscimento.

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